Alessitimia
Il termine Alessitimia, coniato da P. E. Sifneos nel 1973, deriva dal greco (“a-” mancanza, “lexis” parola e “thymos” emozione), e significa letteralmente mancanza di parole per esprimere le emozioni. I 3 fattori principali che caratterizzano tale deficit sono:
- la difficoltà ad identificare le emozioni e i sentimenti
- la difficoltà nel comunicarli agli altri
- l'utilizzo di uno stile cognitivo orientato verso la realtà esterna.
L’individuo alessitimico infatti, esperisce le emozioni come gli altri, ma ha una ridotta capacità di riconoscerle, da cui deriva la difficoltà nel descrivere verbalmente i propri stati emotivi. Gli stati affettivi sono dunque aspecifici e scarsamente regolati dal soggetto.
E’ importante precisare che l’alessitimia non è un fenomeno categoriale del tipo “tutto o nulla”, ma è un costrutto dimensionale (o tratto di personalità): alcuni soggetti presentano aree mentali alessitimiche, ossia relative a specifici contenuti, emozioni, e situazioni.
In particolare, i soggetti alessitimici presentano una difficoltà a mentalizzare i propri stati mentali interni che li porta a regolare le proprie emozioni attraverso atti impulsivi o comportamenti compulsivi (quali ad esempio l’abbuffarsi di cibo, l’abuso di sostanze, le parafilie), esprimendo lo stato emotivo tramite l'azione.
Nell’ambito dei Disturbi del Comportamento Alimentare, l’alessitimia rappresenta un aspetto fondamentale da indagare, al fine di comprendere i significati sottostanti alle manifestazioni comportamentali della patologia.
E’ infatti presente una disregolazione emozionale, che comporta un passaggio diretto dall’emozione, non adeguatamente elaborata, al consumo disfunzionale di cibo. La persona che soffre di DCA presenta frequentemente notevoli difficoltà nel riconoscere i propri stati emotivi e, di conseguenza, nell’esplicitarli. Questo limite può condurre l’individuo a esprimere ciò che prova attraverso un canale di comunicazione differente e non adattivo, per mezzo di un’alimentazione inadeguata. Il rapporto disfunzionale con il cibo e l’ossessione per il peso e l’immagine corporea vengono utilizzati per comunicare un disagio interiore, che non riesce ad essere manifestato a parole.
Ecco dunque l’importanza di comprendere la valutazione dell’alessitimia nel quadro di assessment dei Disturbi del Comportamento Alimentare, non focalizzandosi unicamente sul sintomo ma indagandone i significati sottostanti. Un’attenzione rivolta esclusivamente al sintomo risulta controproducente al trattamento: il sintomo infatti, rappresenta la modalità attraverso cui la persona esprime il suo disagio e, se il trattamento è volto unicamente alla sua eliminazione, non permette di risolvere i problemi psicologici radicati alla base del disturbo, causandone il mantenimento. Rimane comunque importante dare ascolto al sintomo, guidando il paziente nella giusta direzione per giungere alla consapevolezza della necessità di curarsi e all’attribuzione di un significato, nel rispetto dei suoi tempi.
Nel corso del trattamento, la famiglia detiene un ruolo fondamentale: lo sviluppo della consapevolezza del disturbo non riguarda soltanto il paziente, ma è un processo necessario anche alla rete familiare in cui è inserito. Il nucleo familiare può fungere sia da ostacolo, contrapponendosi alla messa in atto di una visione globale del disturbo, che da risorsa, contribuendo alla presa di consapevolezza.
- la difficoltà ad identificare le emozioni e i sentimenti
- la difficoltà nel comunicarli agli altri
- l'utilizzo di uno stile cognitivo orientato verso la realtà esterna.
L’individuo alessitimico infatti, esperisce le emozioni come gli altri, ma ha una ridotta capacità di riconoscerle, da cui deriva la difficoltà nel descrivere verbalmente i propri stati emotivi. Gli stati affettivi sono dunque aspecifici e scarsamente regolati dal soggetto.
E’ importante precisare che l’alessitimia non è un fenomeno categoriale del tipo “tutto o nulla”, ma è un costrutto dimensionale (o tratto di personalità): alcuni soggetti presentano aree mentali alessitimiche, ossia relative a specifici contenuti, emozioni, e situazioni.
In particolare, i soggetti alessitimici presentano una difficoltà a mentalizzare i propri stati mentali interni che li porta a regolare le proprie emozioni attraverso atti impulsivi o comportamenti compulsivi (quali ad esempio l’abbuffarsi di cibo, l’abuso di sostanze, le parafilie), esprimendo lo stato emotivo tramite l'azione.
Nell’ambito dei Disturbi del Comportamento Alimentare, l’alessitimia rappresenta un aspetto fondamentale da indagare, al fine di comprendere i significati sottostanti alle manifestazioni comportamentali della patologia.
E’ infatti presente una disregolazione emozionale, che comporta un passaggio diretto dall’emozione, non adeguatamente elaborata, al consumo disfunzionale di cibo. La persona che soffre di DCA presenta frequentemente notevoli difficoltà nel riconoscere i propri stati emotivi e, di conseguenza, nell’esplicitarli. Questo limite può condurre l’individuo a esprimere ciò che prova attraverso un canale di comunicazione differente e non adattivo, per mezzo di un’alimentazione inadeguata. Il rapporto disfunzionale con il cibo e l’ossessione per il peso e l’immagine corporea vengono utilizzati per comunicare un disagio interiore, che non riesce ad essere manifestato a parole.
Ecco dunque l’importanza di comprendere la valutazione dell’alessitimia nel quadro di assessment dei Disturbi del Comportamento Alimentare, non focalizzandosi unicamente sul sintomo ma indagandone i significati sottostanti. Un’attenzione rivolta esclusivamente al sintomo risulta controproducente al trattamento: il sintomo infatti, rappresenta la modalità attraverso cui la persona esprime il suo disagio e, se il trattamento è volto unicamente alla sua eliminazione, non permette di risolvere i problemi psicologici radicati alla base del disturbo, causandone il mantenimento. Rimane comunque importante dare ascolto al sintomo, guidando il paziente nella giusta direzione per giungere alla consapevolezza della necessità di curarsi e all’attribuzione di un significato, nel rispetto dei suoi tempi.
Nel corso del trattamento, la famiglia detiene un ruolo fondamentale: lo sviluppo della consapevolezza del disturbo non riguarda soltanto il paziente, ma è un processo necessario anche alla rete familiare in cui è inserito. Il nucleo familiare può fungere sia da ostacolo, contrapponendosi alla messa in atto di una visione globale del disturbo, che da risorsa, contribuendo alla presa di consapevolezza.