Fame da stress

Fame da stress

Mangiare compulsivamente: per una frustrazione sul lavoro, per ritmi di vita ai quali non riusciamo a tener testa, per una storia finita male, per un attacco d'ira che invece di esplodere, implode. In una parola per stress.
Riempire bocca e pancia per sedare l'ansia, per trovare conforto e compenso al senso di fallimento e di inadeguatezza. Un meccanismo tipico femminile che è bene riuscire a scandagliare per non esserne vittime passive e inconsapevoli. Partendo con una chiara definizione che dissipi ogni dubbio.

«La fame da stress o la fame nervosa è il bisogno di assumere cibo in modo eccessivo e con modalità di assunzione alterata», afferma Luigi Oliva, dietologo a Mestre.
«La fame biologica, invece, porta ad assumere cibo in quantità utile alla sazietà. La fame rappresenta l'inizio del pasto mentre la sazietà la fine. Questi due segnali sono ovviamente assenti nei soggetti che assumono alimenti in seguito a situazioni stressanti e quindi con una forte componente emotiva». La modalità di assunzione diviene pertanto anomala: si mangia velocemente fino a «riempirsi», preferibilmente da soli, oppure fuori dai pasti, passando dal dolce al salato e assumendo cibo senza la consapevolezza di farlo o contro il proposito di non farlo. Ma perché ci vogliamo tanto male? «Lo stress inteso come situazione di allarme produce nel nostro organismo una serie di reazioni intese alla difesa», spiega Oliva. «Gli ormoni dalla difesa sono gli steroidi e le catecolamine che influenzano assieme alla serotonina e alla dopamina anch'esse interessate dallo stress il comportamento alimentare. I due meccanismi pertanto sembrano strettamente connessi. Così la cosiddetta fame nervosa trova il suo razionale scientifico proprio in questi processi». Schematicamente possiamo classificare due tipi di soggetti: gli adrenalinici, che sottoposti a stress hanno inappetenza, e i cortisonici che invece sentono un bisogno di cibo. L'adrenalina è un ormone che attiva la lipolisi (dimagrimento), mentre i cortisonici attivano la liposintesi (accumulo di grassi) e facilitano la ritenzione di liquidi. Gli uni sono notoriamente magri, iperattivi e hanno poco interesse per il cibo.
Gli altri tendono all'obesità, alla ritenzione idrica e hanno una propensione spiccata verso il cibo. Un lutto, una separazione, un fallimento diventano, nei diversi soggetti, causa di dimagrimento o di aumento di peso.

Ma c'è dell'altro. «Il cibo stesso come apporto di zuccheri influenza il livello di serotonina a livello cerebrale con una sensazione di sazietà e di benessere», dice il dietologo. «In risposta ad un pasto ricco di carboidrati aumenta la secrezione di insulina che facilita l'ingresso del triptofano a livello cerebrale dove si trasforma in serotonina. Ecco perché un bel piatto di pastasciutta dà il buonumore. Le diete povere di zuccheri determinano un calo di serotonina e quindi un bisogno a volte incontrollato di cibo dolce. Questi fenomeni sono particolarmente presenti nelle donne e nel periodo premestruale». Allora, se tutto è predeterminato, la battaglia è già persa? «Le strategie per combattere la fame da stress sono rivolte all'eliminazione della causa», puntualizza Oliva. «Questo non sempre è possibile e allora vanno evitate quelle condizioni che possono aggravare il disturbo alimentare essendo esse stesse causa di ulteriore stress. Se si pensa di soffrire di tale disturbo e se ne vuole venire fuori, bisogna evitare l'imposizione di un regime alimentare restrittivo che andrebbe ad alterare i meccanismi dello stress con evidente svantaggio della situazione di partenza. L'imposizione di un regime drastico, i fallimenti che seguono le diete dimagranti, i sensi di colpa che affliggono i soggetti che non riescono a "stare a dieta", l'insoddisfazione corporea, i commenti negativi, i modelli imposti dai media, i messaggi ingannevoli dell'industria della dieta: tutto questo è causa di stress, della fame nervosa e, a volte, dei disturbi del comportamento alimentare».

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